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Levi e gli occhiali

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Sottotitolo: 
Basso Cannarsa

Basso Cannarsa ha scattato questa fotografia insieme ad altre in un giorno di febbraio del 1987. Non so se sia l’ultimo ritratto di Levi, di sicuro è uno degli ultimi. Lo scrittore si ucciderà due mesi dopo, l’11 aprile 1987, gettandosi nella tromba delle scale del suo palazzo. Credo che sia uno dei più bei ritratti di Primo Levi. La parte destra del volto emerge dal buio con una forza inattesa, mentre il lato sinistro rimane immerso nel buio, eppure lo si vede ugualmente. Basta anche solo metà del viso per far capire l’intensità della concentrazione di Primo Levi. S’è messo in posa e guarda altrove, verso qualcosa che si trova alle spalle di chi lo sta fotografando. Sembra perso nella contemplazione d’un oggetto che non scorgiamo o di un pensiero che non conosciamo. Come potremmo altrimenti? Nella fotografia c’è solo questo sguardo che allude ad altro. Si tratta dello sguardo di chi si è smarrito, tuttavia conserva ancora una precisa concentrazione su di sé, una forma di presenza nell’assenza. Lo dice la postura delle braccia incrociate; le due mani, che si scorgono in basso, sono come un contrappunto all’espressione del volto. La barba biancheggia in primo piano, ma ad attirare l’attenzione sono gli occhiali, poggiati sul capo, all’altezza della fronte. Probabilmente sono occhiali da presbite, da lettura, perché con gli anni la presbiopia, il potere di accomodazione dell’occhio, la capacità di vedere bene da vicino, peggiora. O forse sono occhiali da miope che ha appoggiato temporaneamente sul capo. Non se li è tolti.

 

Come in altre immagini che lo ritraggono, li ha spostati in alto. Voleva che il fotografo cogliesse l’espressione quasi assente dei suoi occhi? Non è facile dirlo. Racconta Basso Cannarsa che quel giorno d’inverno Levi s’era dimostrato particolarmente collaborativo con lui, disponibile e paziente. Gli occhiali sono poggiati sulla fronte, come se Levi dovesse vedere attraverso la mente. Non sono forse gli occhi la parte del nostro cervello che si è spinta più in là, sul confine del nostro corpo, così vicino al mondo che osserva? La frontiera estrema del cervello? Gli occhi che guardano ora, febbraio 1987, sono tristi, d’una tristezza senza contenuto, che sicuramente ha che fare con la depressione che Levi sta attraversando in quel momento. L’ennesimo episodio che s’è manifestato dopo il ritorno da Auschwitz. Altre volte era regredita, lasciandolo esausto e tuttavia vivo. Questa foto, nessuna foto, può dirci cosa prova il testimone, lo scrittore, l’uomo Primo Levi. Il tormento non è poco, nonostante la mitezza di questo quasi abbandono. In punta di piedi quel giorno Basso Cannarsa è uscito dalla casa di Corso Re Umberto 75, ha sceso quelle scale, ha chiuso dietro di sé il portone e se n’è andato. Nella macchina fotografica questa immagine così bella e così commuovente.

 

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